Nel 1982 uno scrittore semi esordiente di 51 anni (!) pubblicò il primo volume di quella che il Times Magazine definirà poi una delle dieci saghe fantasy più importanti di tutti i tempi: Il Belgariad.
L’autore, David Eddings, non scrisse spinto da una passione filologica per la lingua antica o per l’epica nordica, ma solo perché aveva visto che Il Signore degli Anelli era stato già pubblicato per 82 edizioni, e quindi il filone della letteratura fantasy era potenzialmente ricco.
Dopo una prima lettura in età post adolescenziale – nel pieno degli anni della passione per ogni cosa che potesse essere vagamente fantasy e potesse ispirare le mie partite di D&D – ho ripreso per caso in mano il primo volume. E così è nata la voglia di annotarmi alcuni punti sulla sua lettura, e proseguire così per tutta la saga.
Il confronto tra le sensazioni provate nel 1992 e quelle del 2015 sarà un elemento fondamentale della rilettura, così come l’analisi di come si collocano questi libri nel panorama della fantasy moderna, abituata alle peggio cose commesse da personaggi e antagonisti (leggasi Martin e Erikson).
I tempi non saranno brevissimi (parliamo in totale di un migliaio di pagine) ma il tono leggero dei libri li renderà una lettura piacevole nei trasferimenti da e per il lavoro.
I volumi saranno letti nell’ordine di pubblicazione, anche se alcuni miei commenti potranno riferirsi a temi successivi, trattati nei Mallorean o nei prequel (Belgarath il Mago e Polgara la Maga). Essendo una rilettura, non eviterò qualche anticipazione, anche se tenderò a limitarle.
Partiamo così con la lettura del volume 1, il Segno della Profezia
IL SEGNO DELLA PROFEZIA

PROLOGO e PARTE PRIMA – SENDARIA
In più di 150 pagine non accade nulla – e molti potrebbero sostenere che così sarà per tutto il libro. A peggiorare le cose l’evidente protagonista della serie, il giovane Garion, è così infantile da abdicare il suo ruolo, che viene preso di volta in volta da Silk, Barak e il Vecchio Lupo, in ordine discendente di simpatia.
Il prologo è una arzigogolata rielaborazione storica di eventi religiosi, che il lettore si dimenticherà dopo dieci minuti: nel caso non lo facesse, si auto-spoilererà la sorpresa della parte prima, ovvero l’identità di Zia Pol e Vecchio Lupo.
La parte prima è quindi una sfilza di capitoli che descrivono in minuzioso dettaglio la crescita di un garzone di cucina, che vorrebbe tanto sperimentare un po’ di sani arruffamenti con l’amica Zubrette o di scontri con spade di legno con gli amici, ma viene costantemente tenuto nella bambagia da una Zia pedante e che la sa troppo lunga per essere una semplice cuoca.
Seriamente, chiunque riesce a superare le prime 50 pagine merita un premio. Anzi, diciamo le prime 150 pagine, perché quando la trama si accende, e Garion, la Zia Pol, il fabbro Durnik e Vecchio Lupo scappano di fronte a un oscuro nemico che viene da est, ciò che attende il lettore è un eccitante viaggio su carri carichi di rape. Davvero.
L’unica cosa che spinge ad andare avanti è la simpatia personale dei personaggi secondari. A vent’anni Silk divenne un mio mito personale: abile a contrattare, a mascherarsi e a raccogliere informazioni, intelligente ed arguto… come non ammirarlo? Il suo amico Barak ci mise più tempo a entrarmi sotto pelle, durante la parte seconda di questo libro, ma già in queste pagine almeno era uno che voleva menare le mani e far succedere le cose invece che subirle. Il Conte Brendig, per quanto con una parte minore, serio e competente, divenne il mio equivalente Alorn di Wedge Antilles (un personaggio secondario ma tanto, tanto figo).
Per il resto la prima parte è una lunghissima esposizione delle culture e delle tensioni politiche locali: un infodump (come si dice adesso) che rende le parti di La Minaccia Fantasma dove si descrivono le sessioni del Senato Galattico che parla di dazi commerciali eccitanti come lo Zelig.
A rileggerlo ora, mi sorprendo di quanto il libro sembri femminile: la mano di Leigh Eddings (moglie e co-autrice, per molti anni nascosta) è evidente nei dialoghi e nei dettagli, e rende tutto molto delicato. La prima parte è noiosa, ma non banale, piena com’è di minuziose ricostruzioni di situazioni ed emozioni. La brava gente Sendariana in particolare ne esce elevata e gratificata, andando così a ricoprire nell’epica il posto che in Tolkien hanno gli hobbit.
Quando si scopre che quasi tutti i personaggi hanno un titolo nobiliare, e non sono per nulla quello che sembrano, la notizia non sorprende davvero nessuno: è un cliché così atteso che solo l’alternativa sarebbe stata notevole. Al lettore viene lasciata la domanda sull’identità del giovane Garion, ma mentre passa le bocche di Cherek a bordo della nave di Greldik (altro grande personaggio minore) sappiamo già tutti che è destinato a grandi cose.