dagli scritti di Solon Ketrellas, anno 2053 dalla Fondazione di Wer
Chiunque si avventuri per la prima volta nella regione dell’Alfeimur con la sola guida delle leggende e delle ballate è destinato a una traumatica iniziazione.
Gli elementi della comune mitologia eroica – magie, mostri, tesori – sono tutti presenti, certo, ma di solito ciò che si incontra dietro alla prima curva non è l’onore, bensì la miseria.
La nostra è una terra povera, aspra, strappata dalla miseria solo tramite il duro lavoro. Ha dovuto subire troppe guerre, e questo l’ha lasciata divisa e ferita, sancendone il fondamentale isolazionismo.
Sappiamo ben poco dei nostri vicini, e persino la più grande minaccia alla sopravvivenza stessa dell’umanità, l’oscuro impero Zhoun, è solo una parola, meno minacciosa di “carestia” o “siccità” alle orecchie di un qualsiasi servo della gleba di Tallia o di un druido dei campi di Kalma.
Questi sono anni di malessere e di degrado, segnati dalla stentata ricerca di conoscenze perdute e di una sicurezza che troppo spesso trova espressione nell’uso delle armi.
Le decadi di recente pace non hanno riportato la prosperità nelle Signorie: la caduta dell’Impero Aglashico, oltre a garantire una posizione di autorità sulla terraferma ai barbari assetati di sangue giunti dal nord, ha segnato la definitiva stagnazione degli scambi culturali e commerciali, il moltiplicarsi di confini e dazi, il proliferare di diverse leggi e monete.
I grandi progetti dell’Impero sono ormai un sogno: bonifica, esplorazione, ricerca sono parole che mal si conciliano con la realtà delle Corti di oggi.
L’umanità, stretta nei confini naturali che per millenni l’hanno difesa dalle aggressioni, guarda con sospetto e invidia crescenti i suoi vicini: i Nani di Thak-Duur – colpevoli di essere prosperi e uniti quanto noi siamo poveri e divisi -, le Fate dell’Alfeimur – cui abbiamo imposto la nostra presenza senza nulla fare per comprenderle – e infine i Centauri dell’Eledinar – le cui terre bramiamo, e per ottenere le quali siamo disposti ad avallare ogni mostruosità.
Persino le razze più lontane non accettano di buon grado di vivere tra noi, sensibili come sono al sospetto e alla rabbia dei meno colti: gli Alar – che anelano la libertà dei picchi montani – e i Manshuera – dominatori incontrastati delle profondità oceaniche – passano tra noi così poco tempo da non averci insegnato quasi nulla delle loro straordinarie culture.
E’ un segno dei tempi, forse, che ben più comuni siano tra noi i frutti delle nostre passioni e delle nostre debolezze: Figli della Foresta, Muli, Figli delle Montagne e Bruti sembrano diffondersi sempre più giorno dopo giorno, quasi a significare che solo tramite questo imbastardimento la razza umana potrà sopravvivere.
Per coloro che non si lasciano accecare dall’oscurità montante, come troppo spesso capita invece a questo povero vecchio, rimangono ancora fonti di gioia e speranza: Nolenkal e Shianir e Gulida ancora attraggono migliaia di fedeli. Gli Ordini Cavallereschi, fedeli al loro inflessibile credo, mantengono la sorveglianza sul nemico Orco. La Torre dei Misteri, nella sua ineffabile sapienza, pone sempre un freno all’irrequietezza dei seguaci delle Arti Oscure.
Ma temo che tutto ciò non basterà.